Barack Obama ieri non ha parlato soltanto ai banchieri americani, raccolti come scolaretti davanti al suo podio a Cooper Union a New York. Il presidente ha lanciato un messaggio forte anche al G20, che si riunisce oggi a Washington per discutere anche di armonizzazione delle nuove regole del sistema finanziario. E si è rivolto al parlamento americano, dove su alcuni punti caldi, fino a ieri insuperabili, si era visto un barlume di progresso verso il compromesso: «Ogni indicazione che abbiamo è che si stanno facendo progressi nelle discussioni e che questo progetto avrà i miglioramenti necessari» aveva detto ieri in un discorso il capo della minoranza al Senato Mitch McConnel.

Poi, nel pomeriggio, poco dopo il discorso di Obama, la rottura. È successo attorno alle 4 del pomeriggio, quando il capo della maggioranza Harry Reid aveva avviato l'atteso dibattito al Senato sulla proposta di riforma, già approvata alla Camera. In quel momento, con movimenti da grande interprete, si è alzato McConnel, ha obiettato che i democratici avevano impedito alle trattative di procedere verso un accordo e che Reid e Christopher Dodd, l'autore del progetto di riforma al Senato, volevano mettere tutti davanti al fatto compiuto di una proposta che, così come è strutturata ai repubblicani non garba affatto. Ha perciò usato l'arma dell'ostruzionismo e ha così impedito che il dibattito andasse avanti e si è tornati ai litigi, alle accuse reciproche, all'apparente paralisi. Reid si è infuriato, esclamando:«Non perderò più il tempo del popolo americano». E ha chiamato il bluff di McConnell: lunedì, ha detto, ci sarà il primo voto procedurale per bloccare l'ostruzionismo repubblicano. Una sfida, per stringere nell'angolo i repubblicani moderati preoccupati dal rischio di cadere improvvisamente dalla parte sbagliata del dibattito, quella che li identificherebbe come i protettori delle banche che hanno aprofittato del danaro dei contribuenti.

I repubblicani godono oggi di 41 seggi contro i 59 dei democratici. Ma per impedire l'ostruzionismo occorre che vi siano almeno 60 voti favorevoli. I democratici li avevano, ma dopo la perdita del seggio che fu di Teddy Kennedy in Massachusetts si trovano oggi molto più vulnerabili. E McConnell l'ha provato ieri usando uno schieramento compatto dei senatori del suo partito. Riuscirà a tenere anche lunedì? Indiscrezioni raccolte in ambienti informati della capitale anticipano a Il Sole 24 ore che in questo momento è partito un gioco delle parti. Barack Obama, potrebbe scendere in campo durante il fine settimana per cercare una mediazione, soprattutto dopo il discorso di ieri a New York. Il «bickering», il battibecco, è nel frattempo continuato fuori dall'aula. Alcuni democratici hanno mostrato dei video in una conferenza stampa improvvisata per provare come alcuni repubblicani e fra questi McConnell portavano accuse del tutto infondate al progetto di legge: «I democratici vogliono garantire un riscatto permanente per Wall Street» ha detto ad esempio McConnell.

Ma qualcosa si è già mosso. Il senatore repubblicano Charles Grassley, un repubblicano dell'Iowa, ha rotto con i compagni di partito in commissione agricola e ha approvato un disegno di legge per limitare le attività dei prodotti derivati. Questo tema confluirà nella grande riforma, ma ora è stato seguito dalla commissione Agricoltura perché è responsabile del mercato dei futures. Basterà che Grassley o un altro dei suoi compagni moderati voti a favore della mozione procedurale per bloccare le azioni del suo capo McConnell. Dietro le quinte tuttavia, si respira ancora l'aria del possibilismo: le liti più violente avvengono prima di un accordo: in questo modo ciascuno potrà dimostrare di aver ceduto sì qualcosa, ma di averlo fatto dopo una battaglia all'ultimo sangue. Pronostico? La riforma alla fine passerà. E il G20 farà bene a studiarla con cura, perché sarà meglio avere un testo omogeneo con cui confrontare un mercato che resta aggressivo, come dimostrano gli sviluppi di ieri sulla Grecia.